Editoriali

ATTO E RUOLO MEDICO: NON INUTILI RIVENDICAZIONI MA RIPRISTINO DI PRIORITA’

Il nuovo Codice di Deontologia medica, all’art 3 e 13, definisce gli aspetti che determinano l’agire del medico, visto come dovere. E ciò rappresenta l’unica declinazione di quanto e di cosa faccia il medico, in base a quanto una vita lunga 2500 anni ha consegnato alla storia. Ma non esiste nient’altro di scritto a parte la deduzione dalla tipologia e dalle materie d’insegnamento per la laurea in medicina e chirurgia, o il pronunciamento della Cassazione. La volontà di definirlo ha pervaso molti presidenti d’Ordine, i sindacati rappresentativi di categoria e le Società scientifiche; si è lavorato e “battagliato” in ambito federativo anche se è prevalsa alla fine la logica politica di non definirlo come “atto medico”, così come la totalità della classe medica, in tutte le sue manifestazioni chiedeva a gran voce. Ma le logiche federative sono state differenti ed è prevalsa la visione che scriverlo e titolarlo atto medico fosse come scrivere l’ovvio. Dunque inutile. A distanza di quei giorni tale argomentazione appare vieppiù povera ed estemporanea e, a ragion veduta, ancor meno condivisibile. Ma tornando al concetto dell’atto medico, in presenza, invece di un atto infermieristico determinato nel loro codice deontologico, e però riconosciuto per legge, manca uno dei tasselli per comprendere i limiti e l’esetnsione di una riforma sctrisciante delle professioni che è inorganica perché unilaterale e non inserita in un piano di sviluppo globale dellas anità

Per di più risponde a logiche di politica partitica e sindacale, ma non a quello di una vera funzionalità e di rilancio della sanità italiana, che è vero essere ancora ai primi posti a livello internazionale, ma prevale per gli aspetti soprattutto sociali, nel rispetto della visione del welfare state che in nessun’altra parte del mondo viene applicata. A partire dalla legge Mariotti, e si torna indieto di mezzo secolo, in cui si è considerata la figura del medico del sistema pubblico si è dovuto aspettare la riforma Bindi per sentire parlare di medici, questa volta di famiglia, posti al centro del sistema di controllo e edispensa della salute, incentrata e incentivata come territorio. Ma un’organica valutazione del sistema salute attraverso le figure professionali in esso operanti non è mai stata fatta in modo organico e compiuto. Il rischio è che per rispondere a logiche che niente hanno a che fare con la migliore assistenza e cura – e assistenza e cura non sono prerogative divisibili e tanto meno non mediche – si debba procedere a psudoriforme striscianti e improduttive. La realtà è che oggi si fanno leggi che cambiano gli assetti senza che siano garantite le competenze e senza che ci sia un piano organico di interventi che vanno dalla formazione universitaria e del SSN, all’acquisizione progressiva delle competenze e all’affinamento delle abilità professionali. Tutta l’opera suona come un’incompiuta, per di più destabilizzante e non garantista della qualità delle prestazioni e, in ultima analisi della salute, che ne risulta non opportunamente tutelata.

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