Editoriali

“Chi fa l’uso e non l’abuso: A far ciò che gli compete orsù è aduso”

 

Un compito scritto e ancor più vissuto del medico cultore e non cerusico barbiere, con rispetto assoluto per il barbiere. di Pierantonio Muzzetto

Nella dinamica delle cose riguardo al lavoro medico si è soliti insegnare ai giovani universitari che il sapere sempre più si declina in modo articolato, ampliando quel trittico elegiaco del sapere, saper fare e saper essere. Si aggiunge ad esso quel sapere di non sapere, quel saper far fare, sapere fare insieme e saper lasciar fare: quale tripudio della formazione continua e del lavorare insieme con competenza, capacità, complementarietà. Ma in sanità v’è un’altra declinazione che viene sovente fatta: allorquando lavoro si coniughi con autonomia. Un’autonomia troppo spesso resa sinonimo d’indipendenza. Pericoloso ? Forse. Necessario? Mah. Utile o Indispensabile? Mah, Mah. Vediamo di ragionarci sopra.

Laddove calzi, magari fors’anche anche senza lavarla in Arno, l’apologia del lavorare insieme, trova menzione nell’apologo di Menenio Agrippa: in basa all’assunto, la sanità non è forse un luogo in cui è sempre più necessario che le varie parti del “corpo lavorativo” siano sintoniche e mirino tutte ad un unico risultato che è poi quello della buona cura? In forma diretta o delegata. Fino a prova contraria ogni atto delegato non certo delegittima il delegante; né tantomeno lo esclude dall’eseguirlo per competenza al pari del delegato. Ragionare in termini solo di avanzamento di competenze non guardando all’insieme suona strumentale e non funzionale. Anche perché se uno passa a funzioni diverse, le sue funzioni precedentemente ricoperte devono essere assunte da un altro. Sennò, è il buco nel lavoro. Non economico né pratico. Per altro l’attribuire ad altri i compiti finora svolti, a fronte di un’attività di un coordinamento burocratico quale progressione di carriera e di competenze e di “non tanto teorica” responsabilità su autonomia non controllabile, sembra non solo una nota stonata in una musica corale, bensì un’imprudenza. Mal coniugabile con il senso etico della beneficialità? Certamente, laddove vi sia un sistema complesso e diversificato per funzioni è ovvio, se non si voglia adire al caos, che si abbia un coordinamento, mutuato dalla responsabilità dell’agire individuale e corale, in cui ogni singolo atto sia in autonomia ma bensì un’autonomia limitata, ossia condizionata o graduata, di cui si deve rendere conto a chi ne sia preposto.

E chi ne sia preposto è colui che lo diventa, è brutto dirlo, gerarchicamente responsabile, con le qualità e le competenze per farlo. Con ciò istituendo, o meglio riconoscendo, quella scala di valori troppo spesso dimenticata dai fautori del falso nuovo o del nuovismo. Quello stesso che vorrebbe essere, per dirla alla moda del vecchio Western, il cerusico barbiere.

Parlare di team leader deve a sua volta far considerare competenze alte e responsabilità mutuate, a sua volta cioè, da responsabilità di maggior grado in questo ruolo considerando la figura del responsabile del processo di cura, il medico, e che non può essere dicotomizzato o frazionato all’infinito per ogni singolo atto finalizzato al malato. Un aspetto peraltro applicabile ad ogni tipo di attività, a maggior ragione in caso di settori cruciali e delicati ove la responsabilità è lo snodo cruciale del processo assistenziale. E, ovviamente, assistenziale va coniugato a tutto tondo, e non solo in modo esclusivo, con l’attività dei vari coattori del sistema salute e della sua gestione. Se poi l’atto medico fosse solo relativo al rispetto della norma deontologica allora sarebbe in ogni caso limitativo, soprattutto se non rapportato alla scala di responsabilità e alle peculiarità professionali.

Un concetto, questo, che mal s’attaglierebbe all’altro concetto di proporzionalità nell’assegnazione dei compiti, da cui deriverebbe la responsabilità: ove cioè i capomastri, i geometri o gli ingegneri di progetto abbiano un ruolo differente per funzioni e siano diversi nella forma e nella sostanza. Che poi sarebbe come dire in caso contrario che in un’orchestra i fiati o le percussioni o gli archi funzionassero per loro conto al solo leggere lo spartito, senza che l’armonia d’insieme fosse mutuata dal direttore d’orchestra. Musicisti come anche capomastri, geometri, ingegneri, e aggiungo operai, se non coordinati opportunamente non solo non si parlerebbero ma anzi andrebbero in contro a conflitti di competenze ed a guai inimmaginabili. E non è ideologico il dirlo: semmai potrebbe esserlo il contrario. Bisogna avere il coraggio di riconoscere il vero valore del See and treat e Perimed, che dal disegno originario (erano 130 o 135 o giù di lì le mansioni assegnate, poi portate a poco più di 30 con legge regionale? O sbaglio?) sono stati modificati e limitati, nonostante gli sforzi di taluni politici e amministratori e ministeriali a dire il contrario. Quello che si vuole è che il lavoro armonico delle varie figure sia preservato da scelte, queste sì, ideologiche e che coloro che ne sono propugnatori nel nome del nuovo abbiano a vedere spinozianamente il generale e non soltanto il particolare, da qualunque parte venga. Auspicio e vera necessità.

Ma come medici, che mai dalla Signoria in poi, Corporazione si è mai stati, farà piacere vedere che gli sforzi dei rappresentanti siano volti a dare cogenza agli atti ed alle funzioni e che, giammai, sia invocato da chicchessia un seppur larvato conflitto di attribuzioni. Non è la strada giusta: non occorre un doppione di figure professionali che facciano la stessa cosa ma che sappiano agire insieme, proprio come avviene fra le varie figure del sistema sanitario britannico. Mai così tanto inopportunamente invocato. Occorre perciò rendere ancor più alte le singole competenze, ampliando aspetti, si consenta, delle pertinenze, rendendo in questo modo semplice quello che sia complesso e non complicando ciò che invece sia semplice. In più evitando perniciosi conflitti di sistema tanto più improduttivi quanto inutili in termine di guadagno di salute per il paziente o il cittadino ammalato, o persona assistita che sia, ma pur sempre ammalato e debole affidato alle cure di un medico medico e non cerusico barbiere, con rispetto assoluto e vero per il barbiere.

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