Editoriali

Deontologia e professioni dopo aver pensato all’agente e all’agito

Lo scritto, frutto della penna e del pensiero dell’amico Ivan Cavicchi, pubblicato il 27.8 su Quotidiano Sanità dal titolo <Il Codice deontologico dei medici e le professioni secondo l’Istat. Il cambiamento che non c’è> è senza dubbio interessante e stimolante – come sempre – e offre alla considerazione una serie di argomentazioni che sono di per sé spunti attivi di riflessione, richiamati dalla sua visione post moderna e “neologica” della realtà sanitaria. In estrema sintesi propone: ripensare all’agente. Che non è solo una valutazione dei costumi ma pone interrogativi e sollecita una domanda: chi è e cosa fa l’agente ancor prima del cambiamento che non c’é?

Egli parte dall’analisi di posizioni espresse e pone di fatto il problema del Nuovo codice deontologico (forse inadeguato?) e del significato della riproposta classificazione Istat delle professioni.

Il giudizio parrebbe tranchant: una deontologia e una classificazione delle professioni da ancienne régime, per di più nel pieno del conflitto interprofessionale, ideologico o reale, con il costante richiamo alla peculiarità delle professioni e delle specializzazioni.Termini concreti ma arcaici, perlomeno da ripensare.

Dice ancora Cavicchi <Del resto come è possibile tradurre la post modernità in deontologie e ruoli professionali se non ripensando l’agente, sia esso medico o infermiere, cioè colui dal quale dipendono tanto i comportamenti deontologici che quelli professionali?>.

Il vero problema è riportare il ragionare sul terreno della concretezza, rimanendo nell’alveo della concordia e della sinergia. <L’epoca del compito è finita – continua Ivan Cavicchi – mentre sta prendendo piede quella dell’impegno. Non si tratta più di definire declaratorie, mansionari, profili a prescindere dall’agente ma di definire condizioni d’autonomia e responsabilità dell’agente in funzione degli obbiettivi che gli competono. Come si definiscono gli impegni? Una volta che si è risposto a questa domanda bisogna dire quale deontologia e come classificarli. Questo è il problema che un vero riformismo dovrà affrontare>.

Questa domanda, epocale quanto si voglia, è tutt’altro che retorica, provocatoria forse, tenendo ben in conto che le direttive o i compiti in vulgata nell’operare non siano comunque da abbandonarsi.

E allora, cos’è l’impegno? Purché il quesito non impegni troppo, facendo perdere di vista il concreto della res sanitaria, il concetto d’impegno non può non derivare da funzione, mansione o compito; ancor prima da competenza e da preparazione specifica, soprattutto quando sia proposto come esclusiva lettura delle diversità operative che non possono non essere fra loro collegate.

E conseguentemente l’agente agisce per competenza ove il denominatore sia perciò declinabile con l’impegno nel perseguimento degli obiettivi e, non se ne voglia, degli auspicati risultati.

Ma va da sé che impegno debba declinarsi con autonomia nel momento in cui parli di garanzia di risultati in tema di salute con al centro l’ammalato. In ambito puramente speculativo, ma non lontano dalla prassi, si può affermare che parlare di autonomia in ambito sanitario non possa essere che “di scala” e non certo assoluta. Perché questo sarebbe il solo modo che si attui una collaborazione e non una strutturazione degli interventi per compartimenti stagni.

Che tradotto in termini più concreti significherebbe pesare l’autonomia in relazione all’impegno e agli obiettivi, non slegata, cioè, dal contesto di un’attività coordinata e continuativa delle varie figure della filiera sanitaria, cui debba derivare un’indispensabile e oggettiva responsabilità di risultato.

In tema di salute – infatti – il risultato diventa l’unico vero indicatore, indipendentemente dalla molteplicità degli interventi. Dunque quando si tratti di autonomia non si crede possibile non parlare di autonomia di scala, subordinata, finalizzata, coordinata in un sistema complesso. In cui si debba contemplare impegno e ambiti d’azione, così come i compiti e chi li stabilisca.

Da ciò ne derivano due i concetti di richiamo filosofico: l’armonia del gestire e la concretezza dell’agire, in cui si coniughino modularità degli interventi, fra loro sempre e comunque coordinati, con obiettivi cui derivino i risultati.

Ciò esprimerebbe quella modernità vera, che in un futuro programmato deve fare i conti con l’esigenza mai doma di progredire in ambito di tutela e gestione della salute in cui sono necessarie risposte concrete e moderne perché attuali.

Ciò in risposta alle esigenze di un sistema in cui al centro dell’universo sanitario sia collocato quell’ammalato, paziente o sofferente, la cui vera necessità è avere considerazione, risposte concrete e, soprattutto, risultati. Ma in tutto non si può non citare la definizione del limite.

Il limite fra economia e economicismo, fra valore delle scelte e attori, fra adeguate risorse e risultati. In un insieme in cui il bene salute possa diventare il vero indicatore di efficacia degli interventi; ossia il valore o il plus valore di una società attiva, quale bilancio positivo di una nazione civile.

In un sistema complesso, in cui si conoscano gli obiettivi e gli attori e in esso vengano evidenziate le responsabilità, si può affermare che si possano riconoscere e valorizzare le professionalità che fra loro collaborano. Certo è che non decade certamente il rapporto fra medico e paziente, pur in presenza di un nuovo e costruito rapporto fra ammalato e professionisti sanitari.

Come altre realtà ci insegnano assieme a collaborazione va riesumato un altro sostantivo, anch’esso fondamentale: rispetto. E magari questa sarebbe la vera modernità nel rivalutare tali aspetti ritenendo, non a torto, che non siano meri aspetti filosofici o retaggi di una cultura romantica. Ma espressione di un’esigenza della società che mira a rivalutare, e mantenere vivo, il concetto duale nel rapporto col paziente; come non è certo un retaggio della post modernità parlare di paziente, allorquando definirlo persona assistita suoni piuttosto retorico, anche se ideologicamente à la page e solo per taluni politically correct.

Il vero dilemma in sanità è l’incomunicabilità, perché alla fine tutto gira intorno a questo. Con danno evidente proprio derivante dal non prevedere il limite dell’agire, che – con ispirazione democratica – finisca proprio dove inizi quello dell’altro. Il cui mancato rispetto, rimanendo nell’argomentare socio-filosofico, produrrebbe come risultato la marginalizzazione del concetto di efficacia, vero snodo cruciale o giunto cardanico dell’agire polifunzionale nel recupero della salute della “persona ammalata”. Il paziente, per l’appunto.

Se deve essere ripensato l’agente e il suo impegno, questo non può scindersi dal concetto di pertinenza, preparazione e, soprattutto, di responsabilità, che non può non essere differenziata in relazione alla peculiarità dell’agire, in una visione etica, mater et magistra della deontologia ripensata sui valori non negoziabili pur attualizzata.

Non costruita, dunque, sull’attore ma modulata sul valore e sulla sua salvaguardia del valore binomiale dell’essere umano (uoma) e della salute, non potendo prescindere da questo valore che la post modernità con la sua dinamica relativistica, fortemente imperante, spesso trascura o addirittura misconosce, ispirandosi ai principi di un’economia perversa o all’economicismo.

Magari ripensare l’agente, senza retorica. Richiamandosi a una modernità che sia segno di evoluzione, ma anche di tradizione e di concretezza, all’insegna del non paternalistico buon senso, che spesso viene dimenticato nel trattare aspetti e equilibri sanitari in evoluzione adattativa. . Altrimenti, per artificio retorico o per utilitarismo politico – per dirla col filosofo – si avvallerebbero figure che sempre più appaiono come i frutti dell’ippocastano, belli ma assolutamente non commestibili.

Alla fine, oggi, il vero snodo cruciale è il superamento della teoria dell’incomunicabilità, con recupero dei valori etici, e lo si può ottenere col concorso di filosofi, sociologi e, soprattutto, delle persone dotate di buon senso, in una società che dimostri attraverso i suoi atti concretezza, modernità, mai disgiunti da responsabilità, peculiarità, competenza, abnegazione e… risultati. Ripensando, così, all’agente e all’agito.

Condividi articolo