Editoriali

IL MEDICO, UNA RISORSA CHE VA TUTELATA ANCHE IN OSPEDALE. LA VICENDA DELL’ENDOSCOPIA

La Festività del 1 maggio, per quanto preventivato dopo qualche mese come giornata di riposo, è stata l’occasione invece per lavorare, essendo stato portato a conoscenza di quanto la stampa locale ha pubblicato nelle lettere al direttore ossia di una situazione di disagio di una paziente sottoposta a endoscopia, facendo nomi e cognomi dei sanitari che hanno condotto l’indagine e su cui la comunità medica provinciale si sta interrogando.

Il fatto in sé non può che amareggiare per i toni usati dalla segnalante e per il fatto che abbia pubblicamente coinvolto due medici dell’ospedale, con argomentazioni fortemente lesive della professionalità delle stesse che si sente di poter escludere e comunque forte ne risulta l’impatto negativo che ne consegue per la sanità pubblica e per le stesse istituzioni sanitarie.

Sarebbe quanto mai un segno di sprovvedutezza se si mettesse però in dubbio la libertà e l’indipendenza della stampa, ma non certo si può prescindere dal concetto che la corretta informazione del cittadino sia diritto costituzionalmente garantito, così come non si può trascurare l’altro principio della veridicità dell’informazione e l’effetto del come questa debba essere data.

Da diversi mi sono state poste due domande proprio sulla liceità di pubblicare lettere per certo verso anche discutibili, vista l’abitudine a pubblicarne altre laudatorie dell’agire di taluni medici. Ma anche, se sia corretto pubblicare talune notizie, se ad esse conseguano effetti magari negativi. Parlando non certo di bavagli ma d’opportunità di fornire dovizie di particolari in qualche modo lesivi, se non provate. Due domande semplici semplici che un direttore di testata si pone spesso nel “valutare” qualsiasi contributo gli venga chiesto di pubblicare sul proprio giornale, sia esso un articolo o una lettera.

Come si ebbe modo di scrivere in passato, il fatto di firmare il proprio pensiero fa assumere al redigendo ogni piena responsabilità. E, proprio in ambito della scelta di pubblicare un “pezzo”, indipendentemente da chi scriva, il responsabile di testata deve garantire il rispetto di due principi fondamentali: la veridicità del dire e gli effetti dell’assunto, con la possibilità che sia inserito in una contrapposizione corretta delle idee.

Ma vi è anche un ulteriore aspetto correlato: l’opportunità del dire e del come dire qualora sia da dire. Questo, al fine di non ingenerare, anche a fronte di dati veritieri, aspettative o considerazioni altamente negative che incidano sulla fiducia del cittadino e della collettività. E in questo caso le sedi di confronto possono essere diverse.

Il vero problema è che il medico attira lo scoop e forse scolpire e scalfire, se non annientare, il privilegiato monolita medico è desiderio più diffuso di quanto si pensi.

Nello specifico, non si può non soffermarsi sul valore della liceità del dire e del pubblicare, in quanto oggi è evidente come il medico “non sia considerato” quando, invece, lo si deve considerare un patrimonio e una risorsa per cui, come scritto al direttore generale dell’azienda ospedaliera universitaria, va tutelato e con lui il personale sanitario tutto.

E la voce dell’Ordine, per sua competenza, è forte nella la difesa della professionalità, per quanto ci riguarda, del medico che deve essere considerato nel suo agire, perché difendendo e potenziando il medico si tutela il cittadino.

Quest’ordine non ama le parole nei rapporti istituzionali e richiede fatti: nel caso specifico, ritiene doveroso adire a un confronto col mondo dei media ma non può andarvi da solo.

Ispirandosi in questo al diritto/dovere della notizia ma nel nome e per conto delle veridicità del dire e nel pubblicare – mai mettendo in discussione, ma anzi salvaguardando, il principio della sacralità dell’informazione – si devono valutare le conseguenze di certo dire e di certo pubblicare, poiché non è interesse di alcuno consentire derive di stile che lascerebbero il campo a giudizi perlomeno parziali, se non proprio superficiali, in ogni caso assolutamente dannosi.

Se ci sente toccati nel profondo da vicende come quelle del 30 aprile, sarà opportuno che si entri in certe dinamiche comuni che uniscano i medici nell’appartenenza alla “classe medica” e si trascurino altri aspetti, meno accomunanti, rappresentati nell’invalsa abitudine alla critica, che portino piuttosto a isolarsi nel proprio particulare.

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