Non è forse vero che la dis-democrazia delle autonomie e le dis-autonomie declinate nell’indipendenza e nella confusione dei ruoli e funzioni siano segnali evidenti dei nostri tempi? Quale espressione di quel cambiamento di pelle della professione medica nel nome dei progressi rimasti “ipotetici” dei See and treat o Perimed (declinati nelle novecentesche novelle salutistiche tosco-emiliane) come esempi di progresso professionale e di una qualità gestionale oggi messa fortemente in discussione.
Posizioni sostenute all’interno dell’Organismo Stato-Regioni, cui ha fatto eco anche la voce di talune Istituzioni ordinistiche mediche, oltreché di non immaginabili forze sociali in un riconosciuto consenso. Trascurando l’aspetto del lavoro sintonico e complementare che si deve a professioni diverse, e di valore, a cui non è possibile consentire la promiscuità degli interventi, a maggior ragione in un sistema, peraltro, di equilibri e di collaborazione.
Nel rispetto proprio di ruoli e funzioni definite e di responsabilità di scala. Contrarie all’indipendenza professionale, bensì testimonianza di comportamenti corali. Come dev’essere in sanità contraddicendo quell’Empowerment o le teorie vichianamente[1] recuperate del “Bossless”.
Non ha senso, infatti, proseguire sul “terreno dell’innovare” largamente usato da psico-sociologi del momento, non solo di madre patria, senza differenziare gli interventi sul valore ed efficacia degli interventi. A maggior ragione laddove si prospettino innovazioni non controllate e verificate come l’uso indiscriminato della telemedicina, della IA applicata alle macchine “semoventi” e funzionanti in autonomia da terzi controllate, che possano sistematizzare l’esclusione del medico in un nuovo rapporto macchina assistito, gestito da persone estranee al mondo medico.
Le ChatBot di Babylon Health, oggi in default, e di quelle sicuramente più evolute, hanno mostrato i limiti dell’esclusività dell’uso della macchina, seppur con dovute correzioni. Riportando in auge il valore dell’umano-umano e non del cyborg professionale. Considerando anche il profuso utilizzo di risorse, comunque da commisurare ai risultati, che nel caso proprio del progetto Babylon Health, attivato nel 2013, ha raggiunto il traguardo di circa 2 miliardi di dollari per arrivare fino agli attuali valori di 5 mila dollari, ovvero alla notizia della sua bancarotta.
Ma in tutto ciò ha avuto un ruolo la politica? Pur nelle diversità delle sanità nazionali, non sempre confrontabili e assimilabili, la politica è all’insegna del “cave canem”. Ovvero, orientata nel nome del risparmio – e gli stanziamenti ultimi non colmano certo quelli non assegnati nell’intero ventennio – di portare avanti la crociata contro il potere medico limitante le altre professioni. Con l’usare un termine dissacrante come il “paternalismo medico”, considerato all’opposto di come sia nel rapporto sano di chi accudisce chi ne abbia necessità. Ovvero chi necessiti d’attenzione e benevolenza, o di giusta considerazione nei momenti di vera difficoltà, come quelli che interessano la loro salute.
Considerazione sempre più segnalata dai nostri assistiti con richiesta di disponibilità, di ascolto, di presa in carico, anche se è pur sempre valido il concetto che chiunque in momenti di difficoltà di salute abbia richieste lecite o talvolta accresciute e magari pretenda risposte immediate. Comunque la si consideri, dare risposte e pronte è un dovere per chi sia chiamato a svolgere la funzione di medico ovvero è insito nell’assistere e curare gli altri, quali prerogative mediche indiscusse.
È, altresì, norma deontologica e professionale pur svolgendo la nostra attività in un ambito sicuramente più difficile rispetto al passato, oltretutto in momenti di accresciuto bisogno di salute e di incertezza sulla qualità dell’assistenza nel variegato mondo di 23 sistemi sanitari regionali e provinciali autonomi.
Connessa a tutto ciò è la conflittualità. Quella che, come al solito, certa politica sta contribuendo ad accrescere, per fini non solo nobili di progresso di carriere e funzioni, con scelte livellanti funzioni e ruoli, fino alla loro confusione: con riferimento al recidivo ricorso all’empowerment che ha sua espressione nel mercato del lavoro nel tempo risultato non certo pari alle aspettative. Con una cooperazione fra uguali che ha portato non solo all’immobilismo economico-culturale ma al fallimento del processo stesso di postulato ammodernamento.
L’orizzontalità dei rapporti “bossless”, che ne è la conseguenza, conduce a quelle competenze in altri ruoli che risulta al contempo massificante e, soprattutto, pericolosa, laddove non ci sia un coordinamento di funzioni in cui tutti debbano fare tutto e nessuno faccia quanto di debba fare.
Le esperienze maturate nell’organizzazione destrutturata e livellata nell’industria o quelle aziendali minori, previste in chiave cooperativa orizzontale senza coordinamento, ha dato fino ad ora risultati non confortanti od ottimali. Laddove, cioè, “non” doverosamente coordinato in funzioni diversificate senza specifiche e graduate responsabilità.
Soprattutto in sanità, arrivando a parlare di autonomia declinata come indipendenza di factotum uniformi è comunque rischioso anche perché per molte funzioni e ruoli esigiti il livellamento potrà sostituire gli addetti nei sistemi-IA. Laddove proprio l’IA correlata ad un’anomala valutazione tecnologico-professionale, come ad esempio la semplice telemedicina, sarà non più un’opportunità ma, magari, un alibi a non fare o fare diversamente, lasciando ad altri compiti e nuove accresciute funzioni, perdendo ogni contatto con la realtà e facendo prevalere quella virtuale. Parlando, come declinato in ambito convegnistico, di virrealtà.
Ovvero entrando nella dimensione del virreale collocato in un mondo in cui il virtuale diventa reale e il reale, invece, virtuale. Con un orientato disorientamento.
L’orizzontalità lavorativa, con perdita delle peculiarità in sanità, è preludio di un nuovo e strisciante paternalismo sanitario, dai meno nobili risvolti, declinato con un raccapricciante paternalismo del paziente in sostituzione di una chiara relazione di cura. Quale alleanza laica, non certo artatamente fatta passare per confessionale o religiosa, proposta e osannata dall’autodeterminazione non solo giuridica o in mano esclusiva di taluni costituzionalisti che la declinano con eterodeterminazione medica.
Quella stessa posizione che in ambito medico, e nella fattispecie codicistico, aveva fortemente connotato la relazione medico paziente anticipando la politica e riuscendo ad essere copiata in una Legge che ne è stata la trascrizione pedissequa, riferendosi nella fattispecie alle DAT, con un rapporto sodale nell’autonomia fra attori del sistema di salute.
Con un richiamo alla cena delle beffe, occorre un momento di vera riflessione personale e collegiale, trovando ragione …. alla prossima puntata. Come in uno sceneggiato. Con l’augurio che i medici non disperdano il patrimonio che il loro ruolo determina e possano attivarsi la difesa della salute e, al contempo, della professione.Quale indice di civiltà del Paese e diritto fondamentale dell’individuo di cui fan troppa citazione, non sempre a proposito, i soliti amici giuristi, di lombrosiana memoria. Quisque de populo: coram arte medica condita et non refundari, sed in bonis humanis aptari! (Da uno dei tanti: di fronte all’arte medica fondata e non da rifondare, ma da adeguare nei valori umani!).
[1] Rif. ai “corsi e ricorsi storici” di Giambattista Vico (1668-1744)