Editoriali

PARLARE POCO E AGIRE ASSAI IN SANITA’

Verso quale sanità andiamo? E quali gli equilibri futuri? Oggi assistiamo a una lotta fra classi professionali e non si comprende per qual motivo siano messe le une contro le altre. O meglio, in un sistema di equilibri più avanzati in sanità, si comprendono più cose di quanto si creda e il perché, nelle calure agostane, si tenda a far passare di sottecchi i provvedimenti più scottanti che sovvertono gli equilibri sanitari. All’italiana. E si determinano scontri sul piano ideologico con seri risvolti pratici in risposta a supposti privilegi medici, che fanno dimenticare i veri problemi della sanità. Dunque problemi e metodologie finalistiche, non espressione di progetti divisi. E allora, per non fermarsi alle sole parole, non conviene forse agire su storture, sprechi o per lo meno discutibili appalti? E come? Uniformando scelte e interventi.

Nel gioco del biliardo sanitario si può operare togliendo il boccino degli incarichi, delle direzioni delle inusuali aziende sanitarie, dei primariati o direzioni di strutture complesse in ospedali o servizi territoriali, e così via, dalle mani di chi ora lo ha: le Regioni. Dalla politica, dunque: e non ce ne vogliano, i politici.

Ma non è sufficiente e occorrerebbe agire in modo etico. Con nomine per reali competenze, non per scelte formali e discrezionali, secondo l’attuale logica geopolitica. Perché allora non ripristinare termini chiari e semplificare, dando il giusto nome alle cose? Ossia cassate le aziende ripristinare le unità sanitarie locali o gli ospedali come tali o come policlinici, laddove ci sia l’università. Senza usare la falce della Crusca, si può facilmente risparmiare anche in parole, abusate e inutili. Allora, non solo azienda? Anche reparti, primari, aiuti, caposala e così via. Non restaurazione o utopia, necessita di semplicità.

Semplificare è il verbo invertire la tendenza, la politica. Riguardo il significato di salute, da voce di spesa a indice di produttività di sistema generale che è d’utilità alle vere aziende o fabbriche considerando i luoghi di cura come strutture di alto valore sociale e economico. Una visione etica della salute non può prescindere da una rinnovata considerazione della società civile verso i suoi operatori e dal cittadino e un ruolo importante lo riveste anche la magistratura, riconoscendo i valori, le capacità reali e non teoriche, disinnescando ogni inutile contenzioso, con un approccio più realistico all’errore del medico. Rimanendo alle possibili soluzioni si deve ridimensionare il problema inter-professionale, riconoscendo le reali competenze e funzioni, senza per questo fare una guerra santa o uno scisma delle professioni. I nostri tempi sono all’insegna della parola parlata, fin troppo parlata.

Come agire, dunque? Con una vera rivoluzione abbattendo la supposta monarchia medica della salute? Col togliere cioè di mezzo il medico per creare un altro tipo di medico: è questa la rivoluzione che certa politica vuole? Ma attenzione, la storia insegna che ogni rivoluzione ha rivoluzionato, per così dire, proprio i rivoluzionari.

E il risultato del cambiamento sarà rivalorizzare proprio quelle figure per cui era stata affilata la ghigliottina. Chi ha buona memoria ricordi la parrucca incipriata di Robespierre! Il primo passo è riformare la Costituzione riportandola alla versione originaria: da 21 sistemi sanitari a un unico sistema. E poi usare buon senso nell’oculata gestione delle risorse: non si possono affrontare cambiamenti senza considerare meriti, pertinenze e competenze, reali e non surrogate, nell’assegnare ruoli e funzioni. Sarebbe un primo ma significativo passo per una semplice e poco dispendiosa gestione delle risorse umane, assolutamente non clientelare, lontani, cioè, da logiche d’utilità politica più appaganti sicuramente in termini d’elettorato.

Ma, e vi è sempre un ma, il presupposto è ragionare in termini etici riguardo il tema della salute, che è un bene primario che rientra fra gli indiscussi indici di civiltà di una nazione.

Quale la conclusione? Agire ragionevolmente e preventivare scelte non lasciate alle diversità delle opinioni, perché in sanità le opinioni devono lasciare il passo alle prove “provate”, al buon senso di una programmazione, avendo come stella polare unicamente la salute del cittadino, non potendo prescindere dal valore degli outcome. In cui il medico, semmai non si fosse compreso, è, e ne rivendica l’essere, parte attiva e vitale, e non certo figura secondaria depotenziata, come da certa parte, invece, si vorrebbe. E, ancora, come ottenerlo? Appunto riformando il titolo V della Costituzione: il passato diventa attuale.

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