Nel proseguire nella non sempre piacevole attività quotidiana, tra un articolo 39 e la lettura di materiale disciplinare, è giunta una visita di un, non so bene come definirlo, giovane – vecchio iscritto.
Di là dall’ossimoro, il vero senso lo ha il perché sia stato definito giovane-vecchio un iscritto. Presto scoperto l’arcano.
Tutto risale all’approvazione in Assemblea nell’ottobre scorso della riduzione e differenziazione delle quote ordinistiche, identificando due fasce di contribuenti dell’Ordine, quella dei giovani entro i 32 anni e quella degli anziani oltre i 75 anni. Una modifica possibile in virtù della nuova Legge di riordino degli Ordini.
Ma che c’entra tutto questo con l’ossimoro?
C’entra. In quanto quel caro collega ha sostenuto: “Ma come mai avete scelto il limite dei 75 anni: dappertutto, al cinema, coi tickets, con gli ECM il limite è posto a 65 anni?” Ma a quanto pare è stata oggetto di una disputa e di mal celata critica di fronte a dei buoni piatti di cucina, fra medici concordi nella tesi.
A prescindere dalle nuove visioni epidemiologiche che hanno protratto l’età della piena maturità. Non chiamiamola vecchiaia.
La credenza comune recita, però, proprio così: dai 65 anni si paga metà biglietto al cinema. Vuoi non adeguare la quota per continuare ad essere iscritto all’Ordine e a poter professare?
Un costo così modesto – a ben vedere pari ad un invito a cena in un ristorante di qualità almeno una sola volta all’anno – non si crede davvero possa costituire una tale perdita per un medico che continui a lavorare, così da far criticare il provvedimento: è però vero che ben altra cosa è una lauta cena ben imbandita.
Ma non è questo il punto. Aveva ragione il collega, c’è qualcuno, e ci si augura siano davvero pochi, che vuole vecchi i medici a 65 anni. E non solo i medici, a ben vedere.
Ma pur con le dovute eccezioni crediamo, a prescindere dai facili commenti sul “braccino corto”, che dopo l’agognata pensione, o allo scadere dei 65 anni, nella stragrande maggioranza dei casi non si sia dell’avviso di incrociare le braccia e a prevalere sia la volontà di continuare ad esercitare l’arte medica, la più bella professione che ci sia.
Non si finisce di fare il medico, siano pure 75 gli anni, o che sia questo il limite-soglia della prima maturità, oggi detta vecchiaia.
Che lo si faccia, conferma l’adagio che il continuare a professare sia la “quasi norma”, a dimostrazione di una vita professionale ancora attiva: cosa che, di fatto, fa slittare, allontanandola di almeno un decennio, la data della definitiva pensione rendendo propria la nomea, o l’etichetta, del “vecchio” medico.
Così da far pensare che ancora alla venerabile età di 75 anni si sia ancora dei giovinetti. E guai a dire il contrario. Forse, alla fine della fiera, ci si sarebbe aspettati un grazie. Un grazie almeno per aver ringiovanito la categoria, non più vecchi a 65 anni, ma forse, nemmeno a 75.
Vecchio- giovane? Ça va sans dire.
Il Presidente
Pierantonio Muzzetto