La notizia dell’approvazione della legge toscana a regolazione del suicidio assistito desta l’interesse non solo del mondo medico perché la prima in Italia formularla in modo inusuale con rilievi di merito e di metodo. In tutto ciò, le regioni Toscana ed Emilia-Romagna (RER) che hanno seguito il medesimo percorso pur con differente risultato, sono accomunate dall’aver agito in piena autonomia rispetto alla legislazione nazionale. Ma anche di non aver coinvolto l’istituzione Ordinistica” magari perché ritenuta in sintonia o, invece, per trascuratezza da poca considerazione da cui l’atto dovuto.
Ci saremmo aspettati dal Ministero vigilante un segnale di considerazione, finalizzato a incentivare il rapporto fra istituzioni a livello regionale, sempre rispettoso delle loro autonomie e prerogative. Lontani da ogni artato equivoco e pregiudizio, nei confronti di una legge regionale in pendenza di giudizio costituzionale, non solo in base alla gerarchia delle fonti, si pone il dubbio sulle reali intenzioni del legislatore che, con disinvoltura, ha trattato una materia assai delicata e così tanto “coinvolgente le coscienze”.
Il fatto stesso di escludere la parte medica ufficiale nella fase prodromica alla sua emanazione non può trovare compensazione nelle iniziative intraprese con interlocutori diversi da quelli istituzionali, assegnando al medico, singolo o componente della commissione in seno alle ASL, la funzione autorizzativa per l’atto suicidario assistito. Tralasciando aspetti di rilievo come il non menzionare un particolare non da poco come l’obiezione di coscienza su cui si era chiaramente espressa a tutela la Corte costituzionale.
Con l’ordinanza 207/18 e la successiva sentenza 242/19 sempre la Corte ha riconosciuto il ruolo e la funzione del medico addirittura da non ritenere necessario il ricorso alla “dichiarazione” di obiezione di coscienza, anteponendo i valori etici della professione i cui principi ispiratori collidono con l’atto suicidario. Una posizione, quella della Corte, che non pone in discussione la peculiarità dell’agire medico e la funzione di cura, atta a tutelare la salute e la vita, che marcano il comportamento professionale secondo le norme etiche della medicina dalla notte dei tempi, attraverso scelte considerate rilevanti sul piano deontologico e giuridico.
Una situazione che ridimensiona talune ipotesi di alcuni pensatori che hanno visto nei pronunciamenti costituzionali un segnale d’inversione di tendenza verso una più estesa “suicidarietà di Stato”. Ipotizzando che la sentenza 242/19 e ancor prima la L.219/17, le Dat, producessero gli effetti di un “forellino” nella diga che, a poco a poco, allargandosi portasse alla sua distruzione e, metaforicamente, allo sgretolamento di vetero, quanto anacronistici, principi, aprendo a più ampi orizzonti del suicidio di Stato ed a una “nuova morale sociale”. Possibilità, pur limitata, dal recente pronunciamento sempre della Corte che, con sentenza 135/24, fa chiarezza sull’inammissibilità dell’art.580 c.p. a seguito del ricorso del GIP di Firenze. Così stabilendo l’inestensibilità della non punibilità di chi agevoli l’altrui suicidio alla circostanza che l’aiuto sia prestato a una persona «tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale».
Quale uno dei possibili retropensieri ispiratori della légge toscana, Ma la disputa attuale si articola sui principi della professione medica, ovvero sulla valorialità dell’atto medico basato sul ruolo nel sistema di cura e assistenza e che, anche nel processo suicidario, dovrebbero a salvaguardia e tutela della salute e della vita. Elementi, questi, che sono alla base dell’agire medico, e che trovano nella morte quell’ineluttabile “evento naturale improcrastinabile”: quale “danno biologico”, rubandone la definizione al mondo giuridico, che si cerca di procrastinare e non certo di accelerare. Sed medicus neque necator hominis. Ma il medico è chiamato al rispetto dei valori espressi dalla religio hominis dovendosi districare fra humana pietas del non abbandono e il rifiuto delle cure; senza perdere di vista i doveri a professionali in un bilanciamento fra diritti del malato e i propri doveri nella fragilità manifestata nella terminalità.
Esprimendo quella vicinanza con richiamo codicistico all’art. 39, da noi fortemente dettagliato nel 2014, riferendosi all’ineluttabilità della fine della vita, laddove a prevalere, pur ripetendosi nel concetto, è sempre l’interesse della persona verso cui ci si adoperi, accudendola e non abbandonandola. Laddove è pregnante la definizione del linimento del dolore e dell’aiuto a chi realmente soffra, nel rispetto della dignità del vivere come del morire, e che trova espressione nella palliazione, di cui non v’è traccia se non marginale nelle molteplici proposte di Legge nazionali come pure nell’attuale Legge della Toscana o nella delibera di giunta RER dello stesso tono.
Argomento trattato “di striscio” non certo rispondendo alle “dritte della Corte” che raffigura la palliazione come istanza primaria e sostanziale nel fine vita. Potrebbe essere, questa, una risposta vera alla richiamata civiltà in un mondo di “persone senzienti”? Di là da ogni giustificazione giuridica, non si può prescindere dal concetto di dignità degli interventi come pure dal considerare la funzione e l’agire medico di fronte alle scelte: nella vicinanza a chi esprima negazione alle cure o di fronte alla richiesta d’abbreviare la propria vita. Non potendo pensare che ogni desiderio del paziente sia tassativo e la sua autodeterminazione si traduca in eterodeterminazione ed eteronomia(1) per il medico, invece di un bilanciamento nell’ambito della relazione, nell’assistenza e nella cura caratterizzata dalla vicinanza.
Ci si sarebbe aspettati che, alle sollecitazioni fatte in audizione parlamentare non solo dagli Ordini, fosse coerentemente priorizzata la crescita delle strutture per la palliazione in seno al SSN, quale strumento idoneo di cura e assistenza nella gestione della terminalità consapevole. In questo modo dando una svolta significativa agli interventi assai modesti e insufficienti, viste le necessità e le attuali, indiscutibili, carenze organizzativo-strutturali risultando il primo e necessario passaggio per adire a scelte di civiltà in tema di terminalità.
Evitando, soprattutto, polemiche stantie e stucchevoli critiche sulla palliazione, intesa come prassi temporalmente più lunga rispetto alle pratiche, per così dire spicce ed efficaci, della suicidarietà. Che tutto si riduca alle tempistiche d’intervento e con una logica di costi sociali desta, perciò, più d’una perplessità. Motivo per cui lo spendere tempo in una palliazione non può essere una sorta d’ipocrisia etica, piuttosto un comportamento che riporta al valore intrinseco dell’humana pietas, quale insieme dei doveri che l’essere umano abbia verso coloro che versino in fin di vita e, in genere, verso chi soffra. Cosicché, al di fuori di ogni ossimoro, si possa sostenere, nel nome più alto di una religiosità laica che il rispetto della persona come tale e l’accompagnamento nel suo cammino verso il fine vita, esprimano quel giusto equilibrio nell’assistenza e nella cura coniugate con la dignità del morire. E si proceda in questo modo nel cammino della vita che si estingue nella naturalità degli eventi, divenendo, la vicinanza, indicatore di civiltà. Andare verso altri orizzonti, nel senso di una professione non etica, sarebbe un modo per scollinare negli ambiti di un mestiere che comporta sempre più un allontanamento dalla relazione su cui è costruito ogni rapporto evoluto e complesso.
Perdendo di vista quei valori che non rappresentano un mero enunciato d’intenti ma che, proprio nella relazione, trovano compimento in tema di salute, pur nell’asimmetria posizionale fra chi cura e chi viene curato, ispirati alle massime non solo ippocratiche dell’atto medico anche al tempo delle “macchine”.
Pierantonio Muzzetto
Presidente OMCeO Parma
(1). Rif. Concordando con la terminologia utilizzata in tema di responsabilità medica in ambito giuridico da Andrea Nicolussi- Diritto civile Unicatt Milano
ARTICOLO PUBBLICATO SU QUOTIDIANOSANITA’ https://www.quotidianosanita.it/stampa_articolo.php?articolo_id=127753