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“Déjà dit, mais pas déjà vu”. News inviata a tutti i medici di Parma

Presidente Ordine medici di Parma Pierantonio Muzzetto

Da tempo appaiono dichiarazioni, ultima del Ministro Schillaci, sulla necessità di risorse in Sanità come pure di adeguare, nella confederazione delle Regioni italiane, l’assistenza sanitaria quale elemento di perequazione.

Il Gruppo di Lavoro Bioetica COVID-19 dell’ISS pubblicò nel 2020, il Rapporto “Il Medico di Medicina Generale e la pandemia di COVID-19: alcuni aspetti di etica e di organizzazione”[1]. Versione del 25 maggio 2020. Roma: Istituto Superiore di Sanità. Rapporto n. 35/2020 in cui in uno dei suoi capitoli poneva le basi di un rilancio in ambito assistenziale territoriale dell’assistenza primaria facendo riferimento, anche per personale competenza e ruolo, ad alcuni importanti aspetti di etica e di organizzazione.

Circa le Problematiche organizzative in ambito di medicina “pubblica”: cosa deriva dalla pandemia si è posto l’accento sulla necessità di trovare un ruolo equilibratore della medicina generale e, soprattutto con una valutazione dei reali requisiti in ambito assistenziale e della estensione operosa degli interventi di salute riconoscendo ruolo e funzione del medico, nella fattispecie il MMG.

Il tutto partiva, come ancora oggi si sostiene, dalla considerazione che gli MMG possono avere un ruolo di “equilibratore” nell’SSN, modulando i loro interventi tra cura e prevenzione, sorveglianza e monitoraggio a fronte di difficoltà oggettive che si riscontrano sul territorio. Quale elemento di giudizio frutto di riflessioni per porre delle questioni in merito alle problematiche attive in ambito di medicina “pubblica”:

Da cui l’insieme di considerazioni di seguito esemplificate:

  • La differente situazione geografica e l’impostazione di ognuno dei 21 Servizi Sanitari Regionali incidono sulla qualità ed efficacia degli interventi: quindi, si pone la questione su quale modello adottare per le problematiche di salute collettiva, se centrale unificato o decentrato, al fine di omogeneizzare gli interventi e i risultati di salute.
  • La differente organizzazione dei servizi territoriali favorisce la diseguaglianza del diritto uniforme alla salute, quindi, importante è almeno una solida coerenza a linee guida uniche per tutto il territorio nazionale.
  • L’ospedalizzazione e la gestione territoriale di primo livello/domiciliare delle acuzie, e non solo delle cronicità, diventa una realtà d’assistenza e cura da cui nasce l’esigenza di un nuovo modello di gestione.
  • Si potrebbe prendere in considerazione la possibilità di creare un percorso comune di diagnosi e cura sul territorio (percorsi diagnostico terapeutici ospedalieri/territoriali) con ruoli, funzioni e responsabilità differenziate, al fine di ottimizzare i risultati di salute e la gestione delle patologie (croniche e acute) e di quelle cure intermedie garantite entro i soli spazi ospedalieri.
  • Il rapporto tra ospedale e medicina del territorio dovrebbe riconoscere la sinergia fra questi settori d’intervento per un’ottimale gestione sanitaria. In questo modo si possono rendere compatibili, in un’economia di scala, le peculiarità dell’approccio territoriale alle cure con quelle dell’ospedale, ovvero di medicina generale e specialistica.

Quanto elaborato nel nome del miglioramento del sistema, con giusto riconoscimento delle funzioni e dei ruoli all’interno del sistema d’interventi non poteva che partire dalla considerazione più volte esternata, non solo in seno alla Consulta deontologica nazionale, della necessità di garantire senza slogan propagandistici ogni adeguata e coerente risorsa economica.

La cui sintesi rientra nelle parole ultime del ministro Schillaci quando dice che “la sanità ha bisogno di risorse” e definisce la quota del 7% del PIL, la quota minima su cui fare affidamento, in un sistema perequato e omogenizzato, sotto il controllo centrale e con valutazione degli obiettivi regionali che ogni regione deve concorrere a raggiungere.

Già nel 2015, in un intervento su Sole24ore sanità [2] si faceva riferimento alla necessità di investire come momento buono per il rilancio del sistema di salute della nazione, dopo anni di disinvestimento e, ancor più, di poca considerazione del mondo sanitario e, per quanto ci riguarda, del medico.

Con ciò punendo il cittadino debole, ammalato, privato dalla giusta e necessaria assistenza e, soprattutto, di un posto letto in ospedale, dovuto alla politica del “rami secchi portata avanti dalle Regioni dopo la non apprezzata riforma sanitaria, peraltro seguente alla 833/78, coi danni indotti al sistema coinvolgendo in questo la riforma della dirigenza in sanità.

Errori fatti a cui si chiedeva, inascoltati, di porre rimedio con un riequilibrio delle forze e degli spazi e con un nuovo rapporto interprofessionale nella complementarità dei ruoli, ma nella definizione dei limiti dell’agire dovuta ad una chiara ed evoluta programmazione e formazione, alla cui base porre le evidenti e conseguenti responsabilità.

Termine troppo spesso dimenticato nelle disamine non solo tecniche sulla sanità. Non una corsa a fare tutto, ma a fare bene secondo quanto dettato da formazione “vera” e responsabilità. Ma ciò nella logica degli investimenti sul “bene salute” i cui riverberi anche economici si hanno nel mondo del lavoro, considerando gli interventi come investimenti e non come spesa “bruta”, annotata cronicamente nel documento di programmazione finanziaria dell’ultimo trentennio.

Ciò che ci fa dire déjà dit, mais pas déjà vu” ma, purtroppo, non ascoltati di fronte ai proclami dei tribuni del risparmio sulla salute e sulla progressione professionale, per quanto ci riguarda, particolarmente di certa classe medica.

 

[1] Rapporto ISS COVID-19 35_2020

[2] E’ ora di investire in Sanità – Sole24ore Sanità

 

 

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