La pazienza è arrivata al limite. Al limite è anche la considerazione del medico in questa società sempre più difficile, che il termine “liquida” non definisce in modo opportuno. In ogni forma di rivendicazione è evidente lo spaccato di un’insofferenza diffusa che sfocia troppo spesso nella bieca violenza – come esempio è la ciclica pubblicità da parte di solerti legali senza scrupoli di patrocinio gratuito per il risarcimento di errori medici, a suo tempo e a più riprese perseguita, dopo nostre segnalazioni e proteste, dall’Ordine forense.
Si constata come il mondo medico sia sotto scacco e che la considerazione sociale della sua funzione sia in rapida caduta, in questo favorita dai dualismi di certa sociopolitica che richiede la contrapposizione di ruoli e funzioni, ispirando cervellotiche soluzioni regionali, con l’obiettivo di arretrare non solo nella considerazione collettiva la figura del medico in generale e, in particolare, di quello pubblico.
Ma il tema politico sembra per certo verso far trascurare il vero problema della mancata collegialità della classe medica e dei suoi organi di tutela. C’è una perdita di obiettivi e un contrasto di visuale e strategie, soprattutto mancando l’armonia interna alla famiglia medica che, piuttosto che rinserrare le fila, troppo spesso si pone al centro del ring delle prerogative categoriali, impoverendo la forza del medico e della “globalità” medica.
Se è vero, come diceva Einaudi, che laddove sono troppi a comandare là regni il caos, sembra proprio che questo monito in sanità sia stato non tanto abbandonato quanto definitivamente sepolto. E con quale motivazione? Una risposta che rientra nella disamina politica della ricerca delle motivazioni, stra-conosciute, e dall’insipienza organizzativa nelle politiche per la salute.
Se il medico è scaduto nella considerazione si deve fare una vera riflessione sulla professione e il richiamo è a farlo in ambito ordinistico e federativo: non sono, difatti, necessari gli interventi giornalistici e le posizioni più o meno conosciute a livello centrale per far capire che dietro i vertici esiste una base pensante.
Piuttosto tutto ciò lascia l’impressione di una dicotomia fra vertice e base e si vuole evitare che si sia visti come comandanti senza esercito. Cosa che non è peregrina, avendo il dovere morale di confutare certe posizioni e, nel nome di quell’etica di cui si è depositari e tutori, si deve fare massa critica discutendo come “Parlamento della professione” gli obiettivi e le strategie, dando ai nostri rappresentanti maggior forza.
Certo, è più facile il dire del fare. Ma quando al dire si vuol far seguire il fare, l’insieme dei presidenti dovrà esprimersi e dare la linea politica della Federazione. Il momento è critico. Lascerebbe perplessi il non constatarlo e il continuare nella routine da laissez faire. A poco valgono i soliti pareri di opinionisti, medici e non medici il più spesso in ambito sociopolitico, che si fanno portavoce del lassismo della società, della caduta dei valori educativi, della famiglia intesa come custode dei principi del vivere civile con risvolti sul mondo medico.
Non è la semplice espressione di un malessere generazionale o di diseducazione civile, quanto la necessità di tracciare un solco fra chi esercita un bene e chi ne è frutto con chi, invece, lo distrugge. A ciò è chiamata la politica, ma quella vera che ha a cuore i destini della collettività intera e non di una parte di essa, come la logica dei partiti vuole.
Si deve investire in sanità, ora più che mai, dando sostegno ai medici e non attivando politiche sperequative professionali e conflittualizzanti. Non è solo limitando ogni situazione conflittuale interprofessionale. Così non si va a rompere il sistema della “buona sanità”, di cui la Regione Emilia – Romagna è stata propugnatrice e che le è valsa la nomea della migliore sanità italiana, condivisa con la consorella Toscana. Che la solerzia della politica dei proclami ha, però, cambiato – o come da più parti si sente dire – con improvvide manovre che sono state tacitamente accettate dalle forze sociali e della contrapposta politica partitica, rovinando quanto di buono fatto in sanità, con la conseguenza di privare il cittadino della più importante delle risorse che è la salute “tutelata”. Risorsa imprescindibile in una società produttiva e che investe, sapendolo fare. Facendo vera prevenzione, così da evitare incauti danni e inutili spese. Ciò, dando contezza agli sforzi della classe medica che, seppur in difficoltà, mantiene elevati gli standard d’intervento e consente di erogare prestazioni ancora di livello, dando la garanzia sociale che la salute gestita sia pur sempre superiore rispetto a quella di tutti i paesi civili, pur a fronte di risorse carenti e sempre più limitate nel corso dell’ultimo trentennio.
Da qui, come categoria medica, la necessaria volontà di ragionare sulle cose e sulle responsabilità oggettive, innanzitutto rimboccandosi le maniche e uscendo dalla logica dei “compartimenti stagni”. La parola serve per capire e capirsi, ma occorre farlo senza pregiudizi, evitando di cadere nell’oblio e nelle battaglie, che risulterebbero alla fine di retroguardia. Coinvolgendo in questo le forze sociali di categoria e chi, come gli Ordini, ha primariamente il doppio ruolo di tutela, nella veste della deontologia applicata e di ente sussidiario dello Stato.
Ahinoi, quindi, nonostante continue sollecitazioni, e più anni di affermazioni e dichiarazioni ufficiali e pubbliche in tal senso, siamo sempre a ragionare di questi problemi non avendo raggiunto alcun risultato, per cui vista la messe di parole spese, risultate inutili, ci si ritrova a chiedersi di chi sia la responsabilità di questa inedia etico-professionale? Tutti noi, con molta probabilità, abbiamo una risposta. E il vero problema sarebbe, allora, fare dell’inedia una virtù come la fine della storiella dell’asino, che, con la sua morale, ci raccontavano da bambini.
Il Presidente
Pierantonio Muzzetto
Editoriale inviato alla totalità degli iscritti via news (Comunicazioni dell’Ordine numerate).